venerdì, Aprile 19, 2024
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Pezze, fanghi e munnezza: il Nolano capitale dello scarto

Nella Campania infelix in venti anni si sono sviluppate diverse modalità di smaltimento illegale di rifiuti. Modus operandi della criminalità che sono venute fuori dalle dichiarazioni dei pentiti e dall’enorme materiale investigativo raccolto da forze dell’ordine e magistratura, e che coinvolgono anche l’area nolana. Per esempio tipicamente ‘nolana’ è la modalità di smaltimento che prevede lo “spandimento” sui terreni agricoli. Ingenti quantitativi di rifiuti speciali e pericolosi, raccolti legalmente, vengono fatti passare per compost o fertilizzante e versati sui terreni attraverso escamotage di società autorizzate. Le aree maggiormente interessate sono quelle storiche della Terra dei fuochi, che ormai si estende da Giugliano fino, appunto,  al Nolano, nelle campagne di Villa Literno, Castelvolturno, Marcianise. Oltre a questa ‘tecnica’, esiste quella del cosiddetto ripristino ambientale, che spesso nasconde un’attività organizzata di traffico  illecito di rifiuti, dai fanghi di cartiere agli scarti della lavorazione di industrie conserviere. “Preliminarmente- si legge nel dossier di Legambiente-  viene scelto un fondo da destinare ad attività di “ripristino  ambientale” formalmente autorizzato e gestito dal destinatario finale. Questa formale autorizzazione è necessaria per mascherare lo smaltimento illecito di ingenti quantità di rifiuti non trattati. I protagonisti diventano i colletti bianchi dell’ecomafia, quelli che firmano false certificazioni, quelli che nelle amministrazioni non vigilano o fanno finta di non vedere”. Terza filiera dello smaltimento sono i fanghi di depurazione. Visto che il trattamento costa troppo…si smaltisce fango con paglia triturata in fondi di solito “in uso a personaggi in qualche modo riconducibili alle organizzazioni criminali”. Un capitolo a parte merita lo smaltimento degli stracci. Il meccanismo di recupero e riutilizzo degli stracci è complesso; è effettuato da società, che poi si occupano di igienizzare il prodotto recuperato per reimmetterlo nel mercato. Se non avviene, lo straccio è un rifiuto.Il rifiuto andrebbe smaltito munito di Fir Fir (Formulario identificazione rifiuti), presso un centro di recupero autorizzato per le operazioni di selezione e igienizzazione. Al termine del trattamento gli indumenti usati dovrebbero essere rivenduti e i rifiuti smaltiti secondo legge. Invece, si legge nel dossier “tale materiale raccolto porta a porta viene semplicemente stoccato, senza nemmeno aprire i sacchetti, caricato su tir e trasportato presso commercianti all’ingrosso delle province di Napoli e Caserta. Il trasporto è accompagnato da falsa documentazione, e infatti i rifiuti viaggiano con semplice documento di trasporto ma senza Fir. Il commerciante all’ingrosso riceve ciò che sulla carta è un prodotto già selezionato, sullo stesso prodotto non potrà effettuare alcun tipo di operazione e conseguentemente non potrà produrre alcun tipo di rifiuto, se non per gli imballaggi”. Le attività che svolgono invece questi commercianti sono ben diverse. Ricevono un rifiuto (sacchetti di indumenti usati provenienti direttamente dalla raccolta porta a porta) tramite un documento di trasporto attestante il falso, effettuano in modo abusivo l’attività di selezione e cernita producendo un ingente quantitativo di rifiuti, costituiti da tutto ciò che non è utilizzabile e quindi rivendibile, che viene perciò smaltito ricorrendo a organizzazioni criminali. Nel corso degli anni, attraverso questo sistema sono state smaltite illegalmente migliaia di tonnellate di indumenti usati. Ogni prelievo  viene poi seguito dal successivo sversamento abusivo nelle campagne del napoletano e nel casertano, nelle piazzole di emergenza dell’Asse Mediano, dello svincolo della Circumvallazione, dell’asse di supporto della Nola-Villa Literno e l’area vesuviana tagliata dalla Statale 268. Dopo lo sversamento, nella Terra dei fuochi arriva l’incendio. E con l’incendio, ovviamente, i fumi tossici che tutte le sere, ma anche alla luce del giorno, inquinano sia l’atmosfera sia i terreni e le falde acquifere: a essere bruciate, infatti, non sono soltanto le stoffe, ma anche plastiche e derivati, nonché le colle con le quali sono fabbricate le scarpe, con il conseguente rilascio di sostanze pericolose e diossina.

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