giovedì, Aprile 25, 2024
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Sotto il viadotto della morte il tempo non si è fermato, della strage di Acqualonga resta solo un altare

di Bianca Bianco (Il Mattino) 
Un camion dell’Anas è fermo con un lampeggiante acceso. Un uomo in pettorina arancione controlla poggiato al guard rail nuovo di zecca. La luce blu è ben visibile anche da sotto, squarcia i colori plumbei del cielo, illumina un pomeriggio piovoso e freddo. Sembra un segnale: si lavora sotto un tempo inclemente per riaprire il viadotto della morte. L’operaio si ripara dal vento che sferza questa gola un tempo attraversata dal torrente Acqualonga ed oggi sfregiata dai piloni in cemento della A16. Sotto l’autostrada le acrobazie dei centauri nel crossodromo scandiscono il tempo con rombi assordanti. Il caldo soffocante, il silenzio, lo strazio, lo sguardo immobile del mondo sulla carcassa del pullman di pellegrini di Pozzuoli schiantatosi in un anfratto polveroso di una strada di provincia sembrano ricordi lontani. Quel giorno non si è cristallizzato, dei poveri amabili resti delle quaranta vittime della strage del 28 luglio rimangono poche foto impregnate d’acqua. Volti visti sui giornali, storie private celebrate dal lutto dell’intera nazione, nomi che si fatica a ricordare tutti. Quelle facce e quelle storie sono ancora qui, sotto il viadotto, commemorate con uno straziante altare di memorie e doni, più sobrio ed ordinato rispetto all’esplosione commossa dei primi giorni, quando divenne meta di pellegrinaggio e telecamere. Davanti alla rete arancione che ancora protegge il luogo esatto dello schianto, ci sono peluche protetti dalla pioggia col cellophane, mazzi di fiori secchi, quaranta rosari inchiodati all’olmo che protegge il reliquiario che parenti delle vittime e chi abita in questa zona tiene vivo con luci eterne e bouquet colorati. Sono trascorsi otto mesi dalla notte più lunga d’Irpinia, ma la sensazione è che quella notte sia stata inghiottita dall’ombra dell’olmo e proiettata in una dimensione lontanissima. Erano le 20,30 di una domenica afosa. Il pullman turistico di gitanti stava ritornando a casa, a Pozzuoli, reduce da un pellegrinaggio nei luoghi in cui nacque Padre Pio. Una comitiva gioiosa che scattava foto da pubblicare su Facebook e inanellava piccoli episodi da raccontarsi. A mille metri dal chilometro 33 della Napoli- Canosa, il tratto che si sospende sulla  strada che collega Monteforte al Vallo di Lauro, i freni non funzionano più, l’autista Ciro Lametta cerca disperatamente di evitare le auto che sfrecciano sulla carreggiata. Una carambola che salva molte vite, ma si conclude contro il new jearsey che si sbriciola come fosse mollica e si squarcia per molte centinaia di metri. Dopo la caduta, la corsa contro il tempo per salvare i superstiti. Mentre sul viadotto si assiste dall’alto in un silenzio irreale, sotto vigili del fuoco, carabinieri e volontari salvano bambini e adulti schiacciati dal peso di cadaveri e sediolini e incolonnano corpi su corpi trasformando la provinciale in un cimitero. E’ la strage di Acqualonga, la più sanguinosa tragedia su strada che l’Italia ricordi, la più grande prova di solidarietà e umanità dell’Irpinia dal terremoto dell’Ottanta. Un’Irpinia che darà poi il suo commiato ai morti nel palazzetto dello sport di Monteforte
diventato tempio del dolore dei congiunti e della commozione di tanti irpini. I resti del guard rail ancora macchiato di sangue divennero poi scena di un crimine che non ha ancora responsabili e la striscia di asfalto della A16 fu posta sotto sequestro per iniziare un rimodernamento necessario, estrema soluzione all’incuria di decenni. Era il due agosto, quattro giorni dopo il massacro. Il resto lo hanno scritto verbali e perizie che hanno puntellato lungo questi mesi il desiderio di giustizia di parenti e cittadini e comportato l’iscrizione di tre dipendenti e due funzionari di Autostrade per l’Italia e del titolare della ditta proprietaria del pullman turistico. L’autobus aveva i freni rotti e la protezione del viadotto non fermò come avrebbe dovuto la sua corsa impazzita. Una drammatica miscela di fato e responsabilità. Otto mesi dopo, mentre si attende che la magistratura dia le sue prime risposte, Autostrade per l’Italia riapre la carreggiata nel giorno che simboleggia la passione di Cristo.
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