di Nello Lauro
“La prima banca d’Italia? La mafia”. Parole e musica di Antonio Ingroia, magistrato. Frase forte e chiara. Diretta, senza giri di parole. Concisa e intrisa di tutto quello che sta succedendo e dovrà ancora subire l’Italia. “Le organizzazioni criminali “fatturano” 130 miliardi all’anno: è la prima azienda del paese, ma anche la prima banca, quella con più liquidità” scrive la saggista Loretta Napoleoni. In uno dei periodi più neri per via della recessione c’è sempre qualcuno che sorride. La mafia, la camorra. Loro guadagnano, investono e danno anche posti di lavoro. Un movimento che cresce ogni giorno che passa e che fa allontanare i cittadini dallo Stato, Lo racconta Biagio Simonetta in un libro intitolato non a caso “I padroni della crisi” dove si analizzano tutti i gangli dove è riuscita a inserirsi, crescere e moltiplicarsi (i redditi) la malavita. A Napoli dà lavoro “onesto” anche a persone che sopravvivono con 20-30 euro al giorno. Sono i “fabbri della camorra” che per esempio saldano cancelli o fanno altri lavoretti per i clan per sbarcare il triste lunario quotidiano guadagnando anche di più rispetto a quanto fatto nella giornata lavorativa. Non chiedono e faticano. Rischiando anche la galera: ma tant’è. Perchè qualsiasi cosa è sempre meglio della fame. Altro lavoro moderno e in continua ascesa è quello dei “compro oro”. In principio c’erano i furti in appartamento dei tossici a caccia dell’oro che consentiva loro poi di fare cassa e comprarsi la droga. Prima c’erano gli “ambulanti”, ora ci sono veri e propri negozi. Esercizi con insegne imponenti, porte blindate, telecamere e qualche volta anche vigilanza. E Simonetta ne descrive l’impatto sociologico: “Chi entra lo fa in modo furtivo, quasi provando vergogna. C’è la vecchietta che si guarda intorno, prima di suonare al campanello timorosa che le vicine possano giudicarla mentre va a vendere i suoi gioielli per poche centinaia di euro. O la mamma preoccupata che ha deciso di disfarsi del collier per poter fare la spesa”. Agghiacciante, ma reale. Reale, ma agghiacciante. Di negozi di questo genere se ne contano trentamila in Italia: un boom in poco più di dieci anni. “Una peste che profuma di bucato” perchè, secondo parecchie inchieste, molti di questi negozi sono lavanderie delle mafie. Una tesi smentita in maniera veemente dall’associazione nazionale Tutela i compro oro che parla di percentuali minime. Un cosa è certa: la mafia ha interessi e investe in maniera massiccia anche nel metallo prezioso per eccellenza. Sfruttando a dovere il prezzo dell’oro (bene di rifugio) e la galoppante e inarrestabile crisi economica. Per fare un esempio numerico negli ultimi dieci anni un grammo di oro è passato da 8 euro a quasi 35 (23 aprile 2013). Un mercato che non poteva lasciare indifferenti i signori del male che hanno trovato un modo legale per investire sul mercato e moltiplicare i guadagni (l’Italia è al terzo posto nel mondo nella vendita dell’oro da parte dei singoli). Altro settore che non sente la crisi (nemmeno quella legale) è quello del gioco. Che sia slot machine, bingo, gratta e vinci e poker on line poco importa. Un business (quello legale) stimato in quasi 80 miliardi di euro: tre manovre finanziarie, per intenderci. Ma la mafia, la camorra non state certo a guardare e con lungimiranza imprenditoriale non si sono lasciate sfuggire l’attimo per investire in sale da gioco e slot machine. Un giro che nel 2012 è stimato ora in 100 miliardi: nessuno ha previsioni così ottimistiche. L’associazione “Libera” ha realizzato un corposo dossier intitolato in maniera magistrale “Azzardopoli” che dice che l’Italia è un paese dove si spendono circa 1260 euro procapite, neonati compresi (quindi la cifra è ancora più alta…), per tentare la fortuna che possa cambiare la vita tra videopoker, slot-machine, gratta e vinci, sale bingo. E dove si stimano 800mila persone dipendenti da gioco d’azzardo e quasi due milioni di giocatori a rischio. Un fatturato legale stimato in 76,1 miliardi di euro, a cui si devono aggiungere, mantenendoci prudenti, i dieci miliardi di quello illegale. E’ “la terza impresa” italiana, l’unica con un bilancio sempre in attivo e che non risente della crisi che colpisce il nostro paese. Sono ben 41 clan che gestiscono “i giochi delle mafie” e fanno saltare il banco. Da Chivasso a Caltanissetta, passando per la via Emilia e la Capitale. Con i soliti noti seduti al “tavolo verde” dai Casalesi di Bidognetti ai Mallardo, da Santapaola ai Condello, dai Mancuso ai Cava, dai Lo Piccolo agli Schiavone. Le mafie sui giochi non vanno mai in tilt e di fatto si accreditano ad essere l’undicesimo concessionario “occulto” del Monopolio. Sono ben dieci le Procure della Repubblica direzioni distrettuali antimafia che nell’ultimo anno hanno effettuato indagini: Bologna, Caltanissetta, Catania, Firenze, Lecce, Napoli, Palermo, Potenza, Reggio Calabria, Roma. Sono invece 22 le città dove nel 2010 sono state effettuate indagini e operazioni delle Forze di Polizia in materia di gioco d’azzardo con arresti e sequestri direttamente riferibili alla criminalità organizzata. Ad Azzardopoli i clan fanno il loro gioco. Sono tante, svariate e di vera fantasia criminale i modi e le tipologie di fare bingo. Infiltrazioni delle società di gestione di punti scommesse, di Sale Bingo, che si prestano in modo “legale” ad essere le “lavanderie” per riciclaggio di soldi sporchi. Imposizione di noleggio di apparecchi di videogiochi, gestione di bische clandestine, toto nero e clandestino. Il grande mondo del calcio scommesse, un mercato che da solo vale oltre 2,5 miliardi di euro. La grande giostra intorno alle scommesse delle corse clandestine dei cavalli e del mondo dell’ippica. Sale giochi utilizzate per adescare le persone in difficoltà, bisognose di soldi, che diventano vittime dell’usura. Il racket delle slot machine. E non ultimo quello dell’acquisto da parte dei clan dei biglietti vincenti di Lotto, Superenalotto, Gratta e vinci. I clan sono pronti infatti a comprare da normali giocatori i biglietti vincenti, pagando un sovrapprezzo che va dal cinque al dieci per cento: una maniera “pulita” per riciclare il denaro sporco. Esibendo alle forze di polizia i tagliandi vincenti di giochi e lotterie possono infatti giustificare l´acquisto di beni e attività commerciali. Eludendo così i sequestri (come avvenne per il clan Cava). Numeri, storie, analisi del dossier di Libera non svelano la soluzione di un giallo perché, semmai, il colore che prende l’impresa è il nero. Per i risvolti in chiaroscuro, per le numerose zone d’ombra di un sistema complessivo, quello dei giochi d’azzardo, che, curiosamente, ma non troppo, in un paese in crisi come l’Italia, funziona e tira. E’ un settore che, cifre alla mano, offre lavoro a 120.000 addetti e muove gli affari di 5.000 aziende, grandi e piccole. E mobilita il 4% del Pil nazionale. E con 76,1 miliardi di euro di fatturato legale l’Italia con questa cifra occupa il primo posto in Europa e terzo posto tra i paesi che giocano di più al mondo. Per rendere l’idea – commenta Libera – 76,1 miliardi, sono il portato di quattro Finanziarie normali, una cifra due volte superiore a quanto le famiglie spendono per la salute e, addirittura, otto volte di più di quanto viene riversato sull’istruzione. Se analizziamo gli ultimi dati riferiti ai mesi di ottobre e novembre 2011, il primato per il fatturato legale del gioco spetta alla Lombardia con 2miliardi e 586 mila di euro, seguita dalla Campania con un miliardo e 795 mila euro. All’ultimo gradino del podio il Lazio con un miliardo e 612 mila euro. Soldi che girano grazie alle 400mila slot machine presenti in Italia, una cifra enorme, una macchinetta “mangiasoldi” ogni 150 abitanti, un mini casino’ tablet in giro per i nostri quartieri. E se il riciclaggio in Italia tocca il 10% del Pil (il doppio che nei paesi occidentali progrediti) non si può pensare che il gioco ne sia immune. Il 69% degli italiani che giocano on line ha subito una qualche forma di cyber crimine contro una percentuale mondiale che si attesta sul 65%. Non sono solo numeri: dietro ci sono storie, fatiche, speranze che si trasformano per tanti in una trappola psicologica ed economica. A subire le conseguenze della crescente passione dello Stato per “il gioco” sono i cittadini, con costi umani e sociali che di certo superano i guadagni in termini monetari per le casse pubbliche. Secondo una Ricerca nazionale sulle abitudini di gioco degli italiani del novembre 2011 curata dall’Associazione “Centro Sociale Papa Giovanni XXIII”, e coordinata dal Conagga (Coordinamento Nazionale Gruppi per Giocatori d’Azzardo), volta ad indagare le abitudini al gioco d’azzardo è stimato che in Italia vi siano 1 milione e 720 mila giocatori a rischio e ben 708.225 giocatori adulti patologici, ai quali occorre sommare l’11% dei giocatori patologici minorenni e quelli a rischio. Il che significa che vi sono circa 800 mila dipendenti da gioco d’azzardo all’interno di un’area di quasi due milioni di giocatori a rischio. I giocatori patologici dichiarano di giocare oltre tre volte alla settimana, per più di tre ore alla settimana e di spendere ogni mese dai 600 euro in su, con i due terzi di costoro che addirittura spendono oltre 1.200 euro al mese. “La crisi economica alimenta le mafie”. Questa volta parola e musica sono contenute nella relazione annuale dei Servizi Segreti al Parlamento. La crisi è destinata – si legge- ad accrescere i margini di infiltrazione criminale nel tessuto produttivo e imprenditoriale attraverso la compartecipazione occulta e attraverso l’inserimento di capitali illeciti in aziende in crisi finalizzati anche al rilevamento di pacchetti societari”. Una espansione legale nell’economia. “Tutto facendo leva sul potere del denaro – scrive Simonetta – ancora più importante quando intorno scarseggia. Le mafie hanno dimostrato che la liquidità, anche quella proveniente da affari illegali, può fare la differenza. E’ la liquidità delle mafie ad evitare il fallimento di piccole e medie imprese (ma solo nel breve periodo). La finanza criminale offre sollievo, almeno nell’immediato. Per suo esclusivo interesse. E’ un po’ come assumere eroina: il piacere dura il tempo di una pera. Eclettici e manager senza rivali. Cambiano settore in tempi brevissimi e spesso anticipano i tempi sconvolgendo regole di mercato e democrazia. Sono i padroni della crisi”. Aggiungiamo una cosa: sono i padroni di tutto.