venerdì, Marzo 29, 2024
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Lo sport è un maestro di vita. Ma quando diventa violenza…

Mariarosaria Alfieri

criminologa, presidente associazione Criminalt

Lo sport ha un notevole potenziale educativo rappresenta in modo simbolico la vita stessa, che è impegno, sacrificio, lotta, sofferenza, ma anche gioia, speranza, soddisfazione e felicità. La pratica sportiva educa a superare se stessi, a concentrare l’azione in direzione di un obiettivo da raggiungere, abitua al rispetto delle regole, educa alla responsabilità, motiva a resistere allo sforzo. Lo sport di squadra poi educa a perseguire un risultato insieme ad altri, a giocare non per se stessi e per la propria affermazione, ma per un risultato da raggiungere insieme, nella misura in cui si sa costruire effettivamente una squadra. Spesso lo sport fa emergere risorse impensate, non solo di tipo atletico, ma di personalità e di carattere. Lo sport ha l’importante funzione di aiutare ad avere fiducia in se stessi e a sostenere l’autostima. Principi sposati in pieno anche dal maestro di judo Giovanni Maddaloni, padre del famoso judoka Pino oro olimpico a Sidney 2000, e di Marco e Laura, anch’essi campioni di rango internazionale, che da sempre precisa come la sua palestra a Scampia,  cerca di tenere  lontani centinaia di ragazzi dal richiamo della criminalità organizzata. Per lui lo sport è inclusione sociale, è una possibile alternativa alla criminalità. Purtroppo però nella società in cui viviamo le cose non vanno sempre cosi. Lo sport da gioco, da scarico tensionale, da equilibrio tra mente e corpo, diventa violenza. Continui episodi riportati dalla cronaca di volta in volta  riaccendono le polemiche ed i tristi ricordi di altrettanti episodi accaduti alcuni anni fa, dall’uccisione dell’ispettore Filippo Raciti nella partita Catania/Palermo (nel febbraio del 2007), oppure all’uccisione del tifoso laziale Gabriele Sandri nell’area di servizio dell’autostrada Roma/Firenze, che ha scatenato e suscitato tante reazioni violente e successivamente tante polemiche mediatiche, dalla sicurezza negli stadi, agli stadi chiusi. Un tempo c’erano gli hooligans, oggi ci sono gli ultrà. In realtà si tratta di gruppi che diventano bande e che dietro il comportamento violento non nascondono altro che malessere sociale, marginalizzazione e spinte identificatorie in ruoli di protagonismo sottoculturale violento. Sempre più spesso accade poi che questa bande vengono manipolate e sostenute da potenti organizzazioni criminali presenti sul territorio. In realtà il problema della violenza in ambito sportivo è senza dubbio conseguenza di tutti quei fattori negativi che caratterizzano la società contemporanea. Il fenomeno della diffusione degli stupefacenti nei settori giovanili della popolazione, il vandalismo gratuito, la difficoltà di occupazione, i quartieri-ghetto sempre meno umani e vivibili sono problematiche che si riscontrano nelle città in cui viviamo. Tali problemi trovano eco all’interno di manifestazioni di massa come quelle dello sport. All’interno della massa in realtà i soggetti si spersonalizzano e al di là del proprio stile di vita, della propria occupazione, del temperamento e dell’intelligenza acquistano una sorta di anima collettiva con la massa stessa. E li il tutto diventa molto pericoloso. E’ in quel momento che parte la violenza, l’aggressione, l’omicidio. Scompare il senso di responsabilità e compare un sentimento di potenza invincibile; la personalità cosciente scompare ed il singolo, nel gruppo, non è più consapevole di quello che fa.  Il tifoso pertanto si lega ad un gruppo, che sembra offrirgli un sostituto della sua pseudo-famiglia mancante, quella comprensione, e quel sostegno sia psicologico che motivazionale, che gli permette di capire chi è, di trovare una sua identità. Probabilmente è portato a fare ciò da una carenza a livello personale interiore generando cosi i tristi risultati che riscontriamo quasi settimanalmente dai mass-media o di altri episodi di violenza gruppale quasi legittimata. Se volessimo tracciare il profilo del tifoso aggressivo potremmo dire che le emozioni provocate dalla partita favoriscono le condotte aggressive solo se queste fanno già parte del repertorio comportamentale del soggetto. La teoria catartica afferma che l’aggressività del tifoso rappresenta una compensazione alle frustrazioni. In realtà la caratteristica del tifoso violento è l’eccitazione emotiva più che la frustrazione. Ci sono poi le motivazioni inconsce:  l’invidia inconscia è alla base della tensione emotiva che accompagna molti tifosi violenti, che si vogliono aggiudicare un pezzettino di spettacolo. Meccanismi difensivi psichici primitivi (scissione, identificazione proiettiva), senza dimenticare che nel tifo c’è una forte componente di virilizzazione. Per prevenire ciò è assolutamente necessario  riuscire ad osservarsi più da vicino su quelle che sono le proprie difficoltà personali quotidiane, che anche troppo spesso proiettiamo/scarichiamo sul prossimo, che sia esso persona che ci vive accanto, oppure amico , compagno o infine gli estranei stessi.

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