venerdì, Aprile 19, 2024
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Clanio violentato e dimenticato, il fiume della valle dei miti è una discarica – FOTO

 

di Bianca Bianco

AVELLA- La valle del Clanio è stata anche chiamata la valle “dei miti e degli dei”. Nome pretenzioso, ma neanche tanto. Perché in questa valle benedetta dallo scorrere di un fiume che ha dato vita e alimentato l’economica locale per anni, sembra propria di trovarsi al cospetto di presenze ancestrali. All’ombra di “capo di ciesco” si snoda il percorso un tempo virtuoso del fiume Clanio, oggi poco più che un torrente abbandonato al suo circuito vizioso dalla cima al paese. Molto ignorato dalla gente del posto, che pure è gente di fiume. Per nulla preservato dal cemento (di chi costruisce ad un passo dall’alveo) e dall’immondizia. Il Clanio oggi è il corso delle brutture della antica valle, che quando è in piena accompagna alla fine del suo viaggio i depositi di spazzatura e altre amenità abbandonati dall’uomo. E quando è in secca li svela e cristallizza.

Il nostro viaggio lungo il Clanio, da Capo di Ciesco al vallone Serroncelle, non tocca altri punti (come la bella cascata di Acquapendente e più su, laddove si arriva agevolmente quando l’alveo è asciutto, attraversandolo). Ma è comunque uno spaccato malinconico di quello che non è mai stato e mai sarà un “lagno”, una pozzanghera senza storia. E’ un percorso soprattutto fotografico il nostro, perché sono le immagini, più delle parole, a raccontare le vicende del torrente.

Immagini che fotografano l’orrore e l’abbandono. Come le ossa di un animale  (mucca o cavallo, bestie lasciate spesso al pascolo sui prati che costeggiano il Clanio) gettate sotto un ponticello e trasportate dalla forza dell’acqua (una forza che però non sempre riesce a purificare). Buste di immondizia e bidoni di plastica che si impigliano alla folta vegetazione che occupa l’alveo, agli arbusti ed ai detriti che formano pericolosi ‘tappi’ che minacciano gli argini.  Secchi che contennero (e forse contengono ancora) solventi e vernici, pezzi di plastica buttati via da qualche ditta locale, “materiale edile di risulta” (mattonelle spaccate, pietrisco). Pezzi di automobili (contiamo almeno due parafanghi) scaricati nel fiume, vestiti che nessuno usava più, scarpe (tante scarpe), ma pure un frigorifero ed un divanetto lasciati a marcire sui lati o al centro del torrente. E poi il gabinetto. L’immancabile “sanitario”, poco prima della Grotta di San Michele. Regalo chissà di chi. Sicuro di chi non conosce neanche un briciolo della storia e del valore che questo scarso fiumiciattolo ha avuto per la gente avellana. A due passi dalla discarica di fiume ci sono anche i resti di una “romantica” alcova per innamorati che amano far l’amore a due passi dal Clanio, lasciando in dote pacchi di preservativi e condom usati. Del resto, si sa, il fiume è simbolo di fertilità e vita.

L’arrivo alla meta finale, il vallone Serroncelle in cui il Clanio si apre e respira, è il terminale dei nostri cattivi pensieri. Ancora immondizia, due tristi gazebo di legno che hanno ospitato qualcuno che ha lasciato cartoni di pizza e bottiglie di birra, nessun contenitore di spazzatura e intorno una sensazione di aggressione. Quella del cemento che ha ignorato pure i pericoli e le regole basi del rischio idrogeologiche ed ha occupato anche questi spazi.

Spazi sacri, profani, storici, antichi. Nulla resta dei mulini che accolsero nel loro cuore l’energia dell’acqua per trasformarsi in sostegno di tante famiglie: solo qualche rudere. Si intravedono, si intuiscono, i resti dell’antico acquedotto romano. E’ chiusa la mitica grotta di San Michele, chiesa rupestre antica ed unica nel suo genere. Mancano indicazioni, manca l’idea di un lungo fiume, manca l’idea stessa che Avella sia una paese di fiume che sulle sponde del Clanio ha cresciuto le sue generazioni sin dalla preistoria.

C’è solo immondizia, cemento e i padroni del miglio dorato, i pastori. Che chiudono l’accesso alla cascata di Acquapendente (demanio) per non far scappare le greggi, che fanno vivere la loro economia rurale spesso a spese della bellezza di questi luoghi, che impongono un silenzioso regime in quella che è la loro valle. Ma è anche la nostra.

Guarda la fotogallery (di Bianca Bianco e Nello Lauro)

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