Te lo do io il giglio…a Brooklyn: storia, immagini e sensazioni della festa eterna oltre oceano- FOTO

NOLA- (di Carmine Soprano)- Domenica scorsa sono andato a vedere il giglio a Brooklyn. Avevo più volte sentito parlare di questa festa, molto sentita e assai popolare, che i Nolani sbarcati in America a fine ‘800 celebrano ormai da oltre un secolo nel più grande quartiere di New York (oltre 2,5 milioni di abitanti). Sicchè spinto da un po’ di sana sindrome dell’emigrante, ho pensato che sarebbe stato bello andare a cononoscerla, e scoprire che in fondo è molto simile, e allo stesso tempo molto diversa, dall’amata sagra nolana. Vediamo dunque come funziona.

 

Innanzitutto, il dove. La festa si svolge a Williamsburg, zona centrale di Brooklyn che da qualche anno è il cuore pulsante della cultura underground newyorkese : tra gallerie d’arte moderna, vecchi depositi trasformati in ristoranti, deliziosi negozietti vintage e café-bistrot da far invidia ai Parigini, riesce a coniugare in modo quasi miracoloso le mille anime della Grande Mela con la tranquillità di una piccola città. Per questo molti artisti, studenti, coppie di mezza età etc. ormai la preferiscono alla caotica (e cara), seppur elettrizzante, Manhattan. Ebbene, a Williamsburg ci sono un tre-quattro isolati dove un gruppo di emigranti meridionali, di cui molti di Nola e dintorni, approdarono alla fine del XIX secolo. Si chiamavano Bonomo, Manna, Galasso, Addeo e così via – oggi i loro pro-nipoti di nome fanno Frank, John, Jennifer e simili, ma i cognomi non son cambiati. E a guardarli non sono poi così diversi dagli italiani del Sud : pelle abbronzata, capelli neri e ciglia folte, gesticolano con insistenza e ti toccano in continuazione quando parlano. Parlano inglese, e nel migliore dei casi abbozzano un pizzico di dialetto napoletano con una pronuncia irresistibilmente buffa. Dal 1903, questi Nolani d’America celebrano a Williamsburg la loro Festa dei Gigli.

 

Il quando, è la settimana centrale di luglio. Ecco la prima differenza con la sagra di Nola: la festa di Brooklyn è dedicata a San Paolino, ma anche alla Madonna del Carmine, sicchè i festeggiamenti si tengono di solito nei giorni immediatamente precedenti e successivi al 16 luglio. V’è una ragione storica : gli abitanti della Little Italy di Williamsburg, da bravi meridionali, erano devotissimi alla Madonna, e nella prima metà del ‘900 contribuirono alla costruzione della Chiesa del Carmine nel loro quartiere. Quando dunque costituirono la Società di San Paolino (Saint Paulinus Society), ente che tuttora ha sede nella chiesa e che è responsabile dell’organizzazione della festa, fu naturale scegliere di dedicare quest’ultima anche alla Madonna. Ho però la sensazione che non sia l’unica ragione. C’è un’altra festa dei Gigli, a New York, in onore di San Paolino : la celebrano i Nolani di Long Island (quartiere a nord di Brooklyn) a fine giugno. E ve n’è una terza, in onore di Sant’Antonio come quella di Brusciano, che si si tiene invece ad Harlem a inizio agosto. Come dalle nostre parti, i musicisti e a volte anche i cullatori partecipano a più sagre. E’ dunque possibile che il calendario di queste ultime sia stato stilato in modo da lasciare ad ognuna il suo spazio.

 

Ma veniamo al giglio vero e proprio. Qui le differenze si fanno sostanziali: quello di Brooklyn è un po’ più basso, sui 20 metri circa (i locali dicono che rispetto a quello di Nola manca l’ultimo pezzo), ma soprattutto è interamente in ferro – centinaia di sbarre di ferro tenute assieme da bulloni, smontate e rimontate religiosamente ogni anno. Le stesse varre e varretielli sono in ferro, bullonate (varritielli compresi) alla struttura principale, e avvolte in gommapiuma per mitigarne l’impatto con la spalla. Insomma il varritiello non si « sfila » (e men che mai si spezza), ma d’altra parte non vi sarebbe ragione di sfilarlo: la festa si svolge in una larga strada asfaltata davanti alla Chiesa del Carmine, dove il giglio passa comodamente. Il rivestimento è invece simile a quello nostrano : cartapesta spessa e senza aperture, a tema rigorosamente religioso. Pare se ne occupi una bottega d’arte locale. Al netto dei metri mancanti, il giglio di Brooklyn ricorda per forma quello delle foto di « Nola antica » : grosso e massiccio, con la base e i vari pezzi vistosamente più larghi rispetto ai nostri obelischi attuali. Assieme al giglio, unico, c’è la barca. Anche qui la struttura è larga e in ferro, ma la differenza principale con quella di Nola è che, in pratica, la base non esiste : la barca è interamente in cartapesta e sta poggiata appena sopra le varre, sicchè cantanti e musicisti sono tutti a bordo assieme al Turco. Altra differenza fondamentale riguarda la modalità di trasporto. Il ferro del giglio di Brooklyn, diversamente dal legno di Nola, non “sbacchettea” quando lo si fa ballare, nè tantomeno le varre o i varritielli si piegano sotto la pressione delle spalle. Non vale dunque più il sistema di disporre i cullatori (lifters in inglese, letteralmente “sollevatori”) per ordine di altezza all’interno della varra: a Brooklyn ci si mette sotto come capita, e inevitabilmente sui più alti ricade buona parte del carico. Il risultato è che il giglio è particolarmente pesante, e può dunque esser trasportato solo per piccoli tratti – le alzate sono infatti brevi e semplici (ad eccezione delle prime), le girate assai rare. Ma è bello così – in fondo, la festa nasce come una processione.

 

La gerarchia all’interno della paranza ricorda invece molto quella di Nola. I cullatori rispondono agli ordini di un capo, supportato dai caporali (liutenants) – questi impartisce comandi essenziali rigorosamente in napoletano (avanti, indietro etc.), eseguiti sempre con lo stesso passo. Ecco poi un’altra reminiscenza della festa che fu: al posto del fischietto, il capo-paranza ha con sè un bastone che brandisce con orgoglio, mentre balla dinanzi al giglio con movenze assai simili a quelle dei giovani dei comitati nolani. Infine, un elemento singolare ed a mio parere particolarmente significativo: dacchè la paranza è unica (i cullatori si dividono tra il giglio e la barca) ed i capi numerosi, essi si alternano nella conduzione della alzate, che ognuno puntualmente dedica a familiari ed amici cari. La prima alzata spetta sempre al capo cosiddetto n. 1 – questi resta in carica per due anni, durante i quali presiede anche il comitato responsabile dell’organizzazione della festa, ed al termine del suo mandato un altro capo è automaticamente promosso al suo posto. Il messaggio è splendido: unione e solidarietà in nome del Santo e della tradizione, al di là di ogni possibile rivalità ed ambizione personale. Con lo stesso spirito, a metà festa i cullatori del giglio si spostano sotto la barca e vice versa.

 

Anche le musiche sono d’altri tempi. Innanzitutto l’alzata, ‘O Giglio ‘e Paradiso: composta nel 1957, è un riturnello do’passato sullo stile delle belle canzoni nolane d’una volta, che festoso inneggia a San Paolino, ai gigli, ed al popolo devoto in attesa de ‘o juorno cchiù bello. Da allora è sempre la stessa – tutti ne conoscono i versi a memoria, e li cantano con fervore per l’intera giornata. Anche le altre musiche sono di un tempo che fu: gettonatissime Funiculì funiculà, ‘O surdato ‘nnamurato e ‘A tazza ‘e cafè, oltre all’immancabile Inno di Mameli. il tutto è eseguito da orchestre di soli fiati (sax, trombe e corni) accompagnati dalle percussioni, rigorosamente non amplificati – gli unici microfoni sono quelli dei cantanti e del capo-paranza. Il risultato è acusticamente eccellente: si comprendono perfettamente i testi delle canzoni, si percepiscono con chiarezza i timbri dei vari strumenti, ed è possibile restare vicini al giglio senza esser frastornati. A confronto, il volume degli altoparlanti di Nola sembra insopportabile. Strumentisti e cantanti si alternano con lo stesso spirito dei cullatori. Frequenti sono le alzate simultanee con un’unica musica, che dalle nostre parti ormai si vedono solo in piazza e in casi sempre più rari – parimenti frequenti i testi cantati per metà dal cantante del giglio, e per l’altra metà dal cantante della barca. Infine, il rituale. Anche in questo caso il legame con la tradizione nolana è fortissimo, ma non mancano le differenze. Il sabato prima del 16 luglio, per esempio, non è dei comitati ma della questua: cullatori e capi, accompagnati da musica e bambini, vanno in giro per le case a distribuire pane e raccogliere offerte. La domenica mattina c’è la Capo Parade: l’intera comunità locale sfila per il quartiere a mo’ di comitato, e passa prendere i vari capi-paranza alle rispettive abitazioni affinchè si uniscano alla parata. Ad ogni fermata è una festa nella festa, con trombe e coriandoli a festeggiare il capo di turno e la sua famiglia. Segue la messa in onore di San Paolino e della Madonna del Carmine, un frugale pranzo della paranza, e infine la ballata. Questa dura non più di qualche ora, quanto basta ad onorare il Santo senza eccessi – ve ne saranno poi altre due, il 16 luglio e la domenica successiva. Quella di Brooklyn sembra dunque una festa che si è fermata alla Nola di inizio ‘900: una gioiosa processione dei Gigli cristallizzata nel tempo.

 

Cosa unisce allora questa sagra a quella nolana di oggi, apparentemente così diversa? E’ lo spirito. E’, innanzitutto, lo spirito di devozione profonda con cui si trasportano le macchine di festa. Lo dimostra l’entusiasmo della gente e soprattutto dei lifters di Brooklyn, che con orgoglio si accalcano per sollevare un peso a tratti abnorme. Non a caso, i patanielli sulle loro spalle sono voluminosi almeno quanto quelli di alcuni Nolani. E’, poi, lo spirito di amore per il Santo. Lo conferma l’immagine di una chiesa gremita per la messa della domenica, i banchi popolati dalla paranza rigorosamente in maglietta e foulard, e quella fede imperterrita che solo è propria del popolo credente. Al mio arrivo a Brooklyn, la domenica mattina, pioveva – chiesi se la ballata si sarebbe tenuta comunque, e mi fu risposto: “Certamente. Tra un po’ la pioggia smetterà”. Come a dire, ci pensa San Paolino (e la Madonna). E’, infine, lo spirito d’orgoglioso rispetto delle origini e della tradizione. Della nostra terra, i membri dell’attuale Saint Paulinus Society hanno ormai solo il cognome – non sono mai stati in Italia (salvo rare eccezioni), nè conoscono la nostra lingua. Eppure, i loro occhi brillano quando parli loro in dialetto o riveli le tue origini nolane. Non conoscevo nessuno a Brooklyn, e sono stato accolto con il calore che si riserva ai parenti più stretti. Con lo stesso spirito, quei loro occhi si commuovono quando la Capo Parade si ferma dinanzi alla casa dello storico capo-paranza Philly Manna, ormai vecchio e malato – così come alcuni nostalgici Nolani al ricordo di un Erasmo Leone o di un Gaetano Baccalà, o al motivo di una vecchia canzone di Patanella e Natalizio. La differenza sostanziale è che a Brooklyn il giglio balla solo in nome di quello spirito. Forse meno bene, certamente meno a lungo, ma in modo senz’altro più sano e più sobrio. Senza competizione, senza rivalità tra paranze, e senza eccessi nelle parole, nei modi e nelle girate. E’ una festa uguale, ma diversa. In un tempo in cui i valori autentici della sagra nolana sembrano a tratti calpestati, quello americano è probabilmente un bell’esempio da tenere presente. Meglio ancora, da coltivare e valorizzare. Perchè non organizzare, per esempio, regolari scambi ed eventi culturali con la Saint Paulinus Society? Aiuterebbe a promuovere l’immagine della Festa dei Gigli nel mondo, ora che gli obelischi sono diventati patrimonio mondiale dell’umanità. A Ellis Island, isolotto al largo di Manhattan dove a inizio ‘900 si registravano e vaccinavano gli immigrati appena sbarcati in America, è conservato uno splendido archivio che ogni anno attrae (a pagamento) milioni di visitatori – perchè non costituire un registro dei Nolani approdati a Brooklyn e/o un museo dell’immigrazione locale? Gli Addeo, Bonomo, Manna & co. di Williamsburg sarebbero probabilmente felici di gestirlo, e con i relativi incassi si potrebbero finanziare altre iniziative in collaborazione con Nola. E ancora: praticamente ogni anno qualche Americano dei Giglio Boys viene a vedere la nostra Festa – perchè non promuovere visite di delegazioni ufficiali delle Amministrazioni Comunali di Nola e New York in occasione delle rispettive sagre, e magari anche un gemellaggio tra le due città? In fondo il neo-eletto sindaco Bill de Blasio, nipote di italiani emigrati da Sant’Agata de’ Goti (BN), domenica a Brooklyn appuntava il varretiello di cantone per la prima alzata… Come disse orgogliosamente il parroco di Williamsburg nella sua omelia, al termine della messa che precede la ballata: “quando è festa, è festa”. A prescindere dal luogo, e a maggior ragione se la Festa in questione è figlia dalla nostra, di nostri concittadini che orgogliosamente l’hanno preservata. Sta dunque anche a noi Nolani metterne a frutto le sinergie, in una dimensione ecumenica che valorizzi i Gigli nel mondo. Perchè è all’umanità che da qualche tempo i nostri obelischi appartengono. Difendiamone la tradizione, e facciamola conoscere al mondo.




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