mercoledì, Aprile 24, 2024
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Caso Vaclav, gli aggressori in lacrime chiedono perdono: a Nola e al senzatetto

La festa per Vaslav
Vaslav

NOLA- (di Bianca Bianco e Nello Lauro) Hanno chiesto perdono in una lettera i tre minorenni accusati del pestaggio di Vaclav. I tre, che hanno dai 15 ai 17 anni e dallo scorso 14 maggio si trovano nel centro di prima accoglienza di Nisida, sono stati ascoltati dai giudice per le indagini preliminari del Tribunale dei Minori Angela Draetta  e a lei hanno consegnato una lettera, poi messa agli atti, in cui chiedono perdono al senzatetto ed all’intera città di Nola.

LA LETTERA E LE LACRIME– Nella missiva, che i difensori non hanno reso pubblica ma che costituirà materiale agli atti in vista del processo che i giovani subiranno, i ragazzi dichiarano il loro pentimento, si dicono affranti per quello che hanno fatto a Vaclav, gli chiedono di perdonarli ed estendono la loro richiesta di indulgenza all’intera città di Nola, cui idealmente chiedono scusa per quanto fatto, per le conseguenze sulla comunità del loro gesto. Ma il pentimento dei minorenni accusati di avere pestato Vaclav la notte del 17 marzo scorso non si limita ad un documento da inserire in un fascicolo, per quanto importante e sincero. Anche dinanzi al giudice infatti i giovanissimi, accompagnati dai loro difensori, dai genitori e da un educatore della comunità di Nisida hanno esternato il profondo dolore che hanno vissuto e stanno vivendo. Frasi interrotte dai singhiozzi per loro, che hanno spiegato a chi li ascoltava di sentirsi malissimo per quello che hanno fatto, di provare un dolore così profondo da impedire loro persino di dormire. Uno dei ragazzi ha confessato in lacrime di avere incubi notturni, di non dormire da giorni, di sentirsi distrutto. Parole che avranno un loro peso per la giustizia se il giudice deciderà, sulla base anche del pentimento espresso durante l’interrogatorio di garanzia ed anche prima, di accogliere le istanze dei difensori. Entro pochi giorni i tre potrebbero tornare a casa ed abbandonare Nisida. Tornare a casa non significherà però tornare alla vita di sempre, potranno solo frequentare la scuola poi resteranno in casa. Un regime comunque meno pesante di quello della costrizione in una comunità per minori.

“LO ABBIAMO FATTO PER NOIA”– Oltre ad esternare il loro pentimento, durante l’interrogatorio di garanzia i giovani indagati hanno risposto anche alle domande del giudice che ancora una volta ha cercato di fare luce sul perché di una aggressione brutale e insensata. Appena i ragazzi si sono seduti dinanzi la scrivania del gip quest’ultima ha chiesto “Perché lo avete fatto?”. La risposta è stata uguale per tutti e tre: “Non lo sappiamo, forse perché ci annoiavamo”. Anche nel corso dell’interrogatorio dunque hanno ribadito che non avrebbero picchiato Vaclav per odio razziale né per reazione ad uno sgarbo ma perché quella sera non avevano nulla da fare, le ore trascorrevano e qualcuno di loro ha avuto l’idea di andare ad infastidire il clochard. Poi nessuno sa ricostruire con esattezza cosa è successo, tutto si perde nella memoria slabbrata di tre ragazzini ancora sotto choc. Di certo c’è che una prima colluttazione si è trasformata in pestaggio, con ruoli e responsabilità ancora tutte da definire.

“VOLEVAMO ANDARLO A TROVARE” – Subito dopo avere picchiato Vaclav gli indagati si sono resi conto della portata del loro gesto. Prima dovevano fare i conti con la loro coscienza, poi hanno assistito al crescendo di indignazione sul caso, hanno letto articoli e visto trasmissioni televisive dedicate a quella notte di sangue. Quando hanno capito di essere sull’orlo del baratro si sono messi a contatto a telefono  ed hanno parlato tra di loro. Nel corso delle chiamate, intercettate dagli inquirenti, non hanno solo ricostruito la serata (incastrandosi con le loro stesse parole) ma hanno anche discusso dell’eventualità di andare all’ospedale a trovare Vaclav per assicurarsi delle sue condizioni e forse, chissà, per chiedergli perdono di persona. Una ipotesi trascritta nelle pagine dell’ordinanza del gip Draetta che i tre non hanno messo in atto per paura di ritorsioni.

L’OMERTA’ – Non sono andati in ospedale e non hanno confessato subito. Tutto per paura di ritorsioni, di arresti, di gogna pubblica. I tre minorenni- ma anche i due maggiorenni- inizialmente si sono trincerati dietro un muro di omertà, rimpallandosi le responsabilità con ammissioni parziali. Quando il quadro degli investigatori è stato chiaro, però, hanno ammesso finalmente quello che avevano fatto. Una ammissione forse tardiva, la collaborazione con la polizia e la procura avrebbe forse potuto mitigare la loro posizione come ha mitigato quella del sesto indagato, non raggiunto da alcun provvedimento perché subito collaborativi con le forze dell’ordine.

IL FUTURO– I difensori hanno chiesto che i loro assistiti possano tornare a casa e riprendere la scuola continuando comunque a seguire un percorso di recupero sociale e morale in cui, molto probabilmente, saranno coinvolte anche le famiglie. Il giudice deciderà in breve tempo, dopodichè, sempre entro tempi certi e ristretti, si terrà l’udienza preliminare. Sui tre, come noto, pesa l’accusa di tentato omicidio formulata dal tribunale dei minori (più pesante di quella formulata dal gip di Nola, di lesioni aggravate). Gli avvocati difensori puntano ad ottenere una rimodulazione dell’imputazione in lesioni gravissime. Molto conterà la ricostruzione di quella notte di follia. La comitiva trasformatasi in branco, secondo quanto dicono tutti i ragazzi, non ha agito per ammazzare né aveva coscienza di potere provocare la morte del clochard tant’è che, ricordando quella notte hanno sottolineato che hanno colpito “solo” braccia e gambe. Una ricostruzione che dovrà essere valutata dagli inquirenti per decidere se ‘ammorbidire’ la loro posizione o meno.

 

 

 

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