giovedì, Marzo 28, 2024
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Se sono in malattia posso uscire? La Cassazione dice che…

Quando non si è andati al lavoro per malattia può capitare di chiedersi cosa è possibile fare e cosa no. Visto che un errore può costare – per giurisprudenza costante – anche il licenziamento per giusta causa e condotta infedele, meglio non ‘azzardare’.

Una recente sentenza della Cassazione, si legge su laleggepertutti.it, ricorda che durante gli orari della cosiddetta ‘reperibilità’, il lavoratore deve rimanere a casa o presso il diverso indirizzo comunicato all’azienda con il certificato medico (salvo le esenzioni per le malattie gravi) per consentire la visita fiscale del medico fiscale inviato dall’Inps. Per i lavoratori del settore privato: dalle 10 alle 12.00 e dalle 17 alle 19, 7 giorni su 7 (inclusi domeniche e festivi). Per i dipendenti pubblici: dalle 9 alle 13 e dalle 15 alle 18, 7 giorni su 7 (inclusi domeniche e festivi). Chi, durante gli orari di reperibilità, è costretto ad assentarsi da casa per una grave ragione deve comunicarlo prima e se non se ne ha il tempo, bisogna essere in grado di dimostrare tale urgenza.

In caso di assenza ingiustificata si perde il trattamento di malattia, con modalità diverse a seconda che non ci si faccia trovare alla prima, alla seconda o alla terza visita. Il datore di lavoro può licenziare il dipendente, ma solo nei casi più gravi.

Ma il lavoratore malato può uscire di casa dopo l’orario in cui può arrivare il medico fiscale? La risposta è certamente affermativa. Ma ad una sola condizione: tale comportamento non può pregiudicare una pronta guarigione. Quindi il datore di lavoro può far pedinare il dipendente che esce di casa fuori dagli orari di reperibilità, tramite un investigatore privato o raccogliere testimonianze.

Non si può, quindi, licenziare il dipendente se la mancata permanenza in casa non è necessaria per la guarigione. Anche se il medico dell’Inps consiglia al dipendente malato di rimanere sotto le coperte. Ma ciò solo a condizione che il giudice si convinca che tale comportamento (l’uscita di casa) non abbia ritardato la guarigione e dunque il ritorno in servizio.

In sintesi, il lavoratore malato ben può riprendere (poco alla volta e lontano dagli orari della visita fiscale) le piccole incombenze della vita quotidiana fuori casa (come, ad esempio, andare a fare la spesa). Si tratta, infatti, di attività che sicuramente pesano meno di una giornata in ufficio. Diversamente, le fasce orarie di reperibilità non avrebbero senso e costringere il convalescente a restare a casa si risolverebbe in una ingiustificata limitazione della libertà di movimento; il tutto, però, patto di non compiere attività che possano ritardare il ritorno in servizio.

In ogni caso spetta al datore dimostrare che la condotta del lavoratore è contraria agli obblighi di buona fede e correttezza in relazione agli impegni lavorativi attribuitigli, e quindi dar prova che l’uscita di casa ha rallentato la guarigione. (adnkronos)

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