sabato, Aprile 20, 2024
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Hello sPunk, una canzone e un video choc sulla tragedia di Fortuna Loffredo

Hello sPunk, l’alter ego del giornalista e scrittore Giancarlo Tommasone
Hello sPunk, l’alter ego del giornalista e scrittore Giancarlo Tommasone

Hello sPunk, l’alter ego del giornalista e scrittore Giancarlo Tommasone, pubblica l’album d’esordio. Un disco dal titolo esplicito che non lascia spazio a dubbi, ‘Radical shit’.  La produzione è stata affidata a Diego Leanza tra i più quotati producer internazionali (Cindy Blackman, Kool & the Gang) che ha realizzato l’album per l’etichetta partenopea Studio8. Brano apripista è ‘Canzone di Fortuna’, ispirata dai tragici fatti della bimba del Parco Verde di Caivano, la piccola Fortuna Loffredo, uccisa nel giugno del 2014 all’età di sei anni.

 Perché la scelta di lanciare un disco punk con quella che hai definito una ‘filastrocca nera’?

“Come gli altri pezzi del disco, anche ‘Canzone di Fortuna’ ha la funzione di spiazzare, per guardare le cose da un punto di vista diverso. Quindi è molto più punk di quanto si possa immaginare. Il mio linguaggio, come il linguaggio della musica che facciamo, sono diretti e possono far storcere il naso a qualcuno, ma servono a fermarsi un attimo a pensare, come quando ti fermi a respirare forte dopo una corsa che ti ha fatto andare il cuore a mille. Del resto il primo a rimanere scioccato per la triste vicenda del Parco Verde sono stato io. Ho scritto quel brano, l’ho voluto includere nell’album e ne ho voluto realizzare un video, solo per sensibilizzare i più ‘distratti’ e spronare chi si occupa del caso affinché emerga tutta la verità”.

 Quali sono stati i primi riscontri seguiti alla pubblicazione del video?

“Non tutti sono stati contenti. Ma me l’aspettavo. A volte è brutto sentirsi dire la verità in faccia, anche se io credo di averlo fatto con molto tatto. C’è pure chi mi ha scritto che sono stato inopportuno, che quella storia avrei dovuto lasciarla perdere per rispetto a una bambina che non c’è più. Il punto è che chi lascia perdere le cose a metà non fa altro che accreditare mezze verità, o mezze bugie, dipende da che punto vedi la cosa. A me invece la verità, questa volta, visto che hanno toccato una bambina, piacerebbe saperla tutta”.

 Hai parlato anche di pressioni, di ‘consigli’ che ti sono arrivati? A che o a chi ti riferivi?

“Sì, è vero. Le solite ‘voci’ che si riportano dalle nostre parti, voci sussurrate di malcontento fattemi arrivare perché quella canzone e quel video a qualcuno non sono piaciuti; per il momento però sono solo voci e se le porta il vento, se dovessero diventare qualcos’altro, informerò chi di dovere”.

La copertina di Radical Shit
La copertina di Radical Shit

Parliamo di ‘Radical shit’, quali altri temi tratti nell’album?

“Sono diversi, in questo disco mi sono davvero sentito libero di esprimermi perché ho preso il mio mondo claudicante e l’ho messo in una dimensione ancor più instabile. Tutto forse per trovare una sorta di mio personalissimo equilibrio. E allora ho parlato dei tabù da sfatare, della politica che non fa nemmeno più ridere, ho pensato alle dipendenze, alla pazzia contrapposta alla normalità anche se io non ci vedo alcuna differenza, e ho riflettuto su quanto siamo borderline, quanto siamo malati di apparenza, quanto siamo “animali in vetrina, lasciati in sordina, cresciuti a tabù e medicina”, per dirla con le parole di ‘Passa la voglia’ o ancora, di quanto abbiamo bisogno costantemente di sedarci perché quello che ci circonda è diventato insostenibile”.

 Che cos’è diventato il punk a 40 anni dalla nascita?

Il punk è sempre lo stesso, sono cambiati gli uomini e gli interpreti. Il punk in definitiva è quello che ci lega ancora all’istinto animale che ha la funzione di guidarci a occhi chiusi; io sono contento di averlo incontrato molto presto”.

 

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