Si chiamano moyamoya, che in giapponese significa “nuvola di fumo”. Ma dietro questo nome poetico si nasconde una realtà dolorosa: vasi sanguigni anomali e infiammati, spesso responsabili di dolori cronici difficili da trattare. All’azienda ospedaliera San Giuseppe Moscati di Avellino è arrivata una tecnica innovativa che può finalmente offrire sollievo duraturo a chi ne soffre. La metodica si chiama Tame (Transcatheter Arterial Micro-Embolization) ed è stata messa in pratica per la prima volta su tre pazienti campani nella scorsa settimana: una donna 42enne della provincia di Benevento e due uomini, rispettivamente di 40 e 70 anni, dell’Avellinese. I primi risultati sono incoraggianti: i pazienti, affetti da fascite plantare e artrosi al ginocchio, hanno già riscontrato un miglioramento sensibile del dolore.
Il trattamento è minimamente invasivo. Come spiega il dottor Giulio Lombardi, responsabile dell’Unità operativa di Radiologia Interventistica Body del Moscati, “si inserisce un catetere sottilissimo, di appena 0,6 mm, attraverso l’arteria del polso o dell’inguine. Vengono poi rilasciate micro-particelle embolizzanti che vanno a “bloccare” selettivamente i vasi infiammati, sopprimendo l’infiammazione alla radice”. La Tame, ideata in Giappone dal dottor Yuji Okuno, è stata introdotta ad Avellino grazie alla formazione sul campo del radiologo interventista Piercarmine Porcaro, che ha trascorso un periodo di studio a Tokyo. Tornato in Italia, Porcaro ha trasmesso le sue competenze all’équipe irpina, composta anche da Enrico Maria Amodeo, Ernesto Punzi ed Emanuele Flora, tutti giovani professionisti.
Il vantaggio è evidente: l’intervento si esegue in anestesia locale, dura circa un’ora e non richiede ricovero. Soprattutto, agisce direttamente sull’origine del dolore, a differenza degli antidolorifici tradizionali, che spesso si limitano a mascherare i sintomi. Oggi la Radiologia Interventistica del Moscati impiega la Tame per dolori cronici legati a artrosi del ginocchio, fascite plantare, spalla congelata (capsulite adesiva) ed epicondilite (il noto “gomito del tennista”). Per molti pazienti, rappresenta una svolta attesa da anni. “Questa tecnica è un’arma potente nella lotta al dolore cronico – conclude Lombardi – e offre un’alternativa concreta a chi non trova più beneficio dalle terapie convenzionali. È come dissolvere una nuvola di fumo: finalmente si torna a vedere il cielo”.