di Carlangelo Mauro
Gerardo Santella, di Palma Campania, è autore di una cinquantina di libri; ricordo solo in questa sede, tra le ultime pubblicazioni, Uomini contro di Francesco Rosi (con Savino Carella, Gremese editore), un volume che analizza il film di Rosi, ispirato al romanzo di Emilio Lussu “Un anno sull’Altipiano”. Santella ha scritto anche più di un migliaio di articoli sulla stampa locale; se qualche curatore li mettesse insieme essi offrirebbero una testimonianza preziosa della cultura e dei personaggi del territorio. Parlare con Gerardo è sempre un arricchimento. Il suo modo di scrivere o di dialogare per chi gli fa visita, desideroso di apprendere, è sempre una lezione di umanesimo, ma chiara, comprensibile, diretta a tutti, senza snobismi intellettualistici, rigorosa, frutto di lungo studio. Ho per le mani l’ultima sua pubblicazione, un reportage di viaggio intitolato, “La terra del Quetzalcoatl” (Michelangelo 1915 Editore) scritto a quattro mani con il viaggiatore e fotografo Marino Cattelan, autore a sua volte di diversi volumi sul El Salvator, Honduras e in particolare Guatemala (cfr. “Dietro la Maschera: Il mondo delle danze in Guatemala”, un su o volume disponibile su Amazon). Dietro la nascita del testo La terra del Quetzalcoatl ‒ il termine significa ‘serpente piumato’, indica una antica divinità mesoamericana ‒ c’è una bella storia: l’incontro tra un docente, Gerardo, e Marino, un suo ex alunno di scuola media dopo 36 anni. L’incontro avviene ad Antigua sul sagrato della cattedrale di Santiago, uno dei luoghi più suggestivi toccati in un viaggio fatto da Gerardo nell’America Centrale tra “Città del Messico, Città del Guatemala, San Salvador” e altre località. Ad Antiqua Gerardo rivede appunto Marino, che, dopo un periodo di volontariato in Guatemala, si era stabilito lì per viaggiare nelle foreste, conoscere la natura, assaporare la libertà delle sue spedizioni, amare una donna indigena, poi sposata.
L’alunno confessa al docente che la scelta di viaggiare e fotografare è anche un retaggio dell’insegnamento di Gerardo: “Ricordo che una volta in classe ci raccontasti di un tuo viaggio in Grecia e ci facesti vedere un centinaio di cartoline illustrate che avevi portato con te”; gli confida che con i colori portati dall’Italia aveva cominciato a vendere acquerelli, poi a stampare e a vendere cartoline. Dopo sono venuti i libri, documenti antropologici di un altro mondo. Marino racconta a Gerardo che ha conosciuto “stregoni, sciamani, fattucchiere”; gli parla “di riti di propiziazione e dei favori degli dei, di veglie funebri […], di danze maschere canti suoni”, gli mostra il suo libro sulle danze guatemalesi che gli dona. Da questo incontro ad Antiqua, passati altri anni, i due si risentono, decidono di fare un libro in tre parti, in cui ai taccuini di viaggio conservati da Gerardo siano aggiunti i racconti di Marino e nell’ultima parte le fotografie di ciò che hanno entrambi hanno visto. Il risultato è un testo non comune, originale, bello, con immagini particolari e toccanti, un libro che invita alla conoscenza delle antiche civiltà azteche e maya, a luoghi di natura di una bellezza incomparabile, abitati da persone gentili, testimoni di una saggezza millenaria, un paradiso insomma, ma come scrive Gerardo anche un inferno nel rovescio della medaglia: “bande assassine, disoccupazione, alcolismo, narcotraffico, prostituzione, bambini abbandonati”, realtà presenti nell’America centrale (come altrove, senza il risvolto paradisiaco).