Attendere il proprio turno in fila, al supermercato o all’ufficio postale, è un’esperienza comune. Ma per una persona con disabilità, anche pochi minuti di attesa possono trasformarsi in un ostacolo insormontabile. È quindi lecito chiedere – o concedere – la precedenza a chi si trova in una condizione di fragilità? A fare chiarezza su questo tema è il quadro normativo italiano, spesso oggetto di interpretazioni errate. La legge 104/1992, pur essendo il riferimento più noto in materia di disabilità, non prevede esplicitamente il diritto a saltare la fila. Tuttavia, ciò non significa che la precedenza sia vietata o ingiustificata. Esiste infatti una tutela ben più ampia, sancita dall’articolo 3 della Costituzione, che impone allo Stato di rimuovere ogni ostacolo che impedisca l’uguaglianza sostanziale dei cittadini, includendo le persone con disabilità.
È in questo contesto che si inserisce il concetto di “accomodamento ragionevole”: un principio di equità introdotto dalla Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità e recepito dall’ordinamento italiano. Esso prevede che, per garantire pari accesso ai servizi, sia possibile adottare misure e adattamenti organizzativi – come appunto consentire la precedenza – a patto che non rappresentino un onere sproporzionato per chi li attua. In alcuni casi, negare la precedenza può addirittura configurare una discriminazione indiretta, vietata dalla Legge 67/2006, se si crea uno svantaggio concreto per la persona con disabilità. Si pensi, ad esempio, a chi ha difficoltà motorie, necessita di ossigeno o vive con deficit cognitivi: un’attesa in fila può essere fisicamente estenuante o disorientante, trasformandosi da semplice attesa in un atto discriminatorio.
In definitiva, non esiste un automatismo che consenta di bypassare ogni fila con la sola esibizione della legge 104. Tuttavia, chi vive una condizione di disabilità può legittimamente chiedere la precedenza, facendo appello al diritto costituzionale alla parità e all’accomodamento ragionevole. La risposta non sta in una norma rigida, ma in una cultura dell’inclusione capace di riconoscere e rispettare i bisogni di tutti, soprattutto dei più fragili. (Amda)