NAPOLI (nellauro) – L’8 e il 9 giugno gli italiani saranno chiamati a esprimersi su cinque referendum abrogativi che toccano temi centrali per il mondo del lavoro e per i diritti di cittadinanza. Quattro di questi sono stati promossi dalla Cgil e da altre organizzazioni della società civile, mentre il quinto ha origine da una proposta del partito Più Europa, con l’appoggio di Possibile, Psi, Radicali Italiani e Rifondazione Comunista.
Trattandosi di referendum abrogativi, gli elettori dovranno decidere se cancellare, con un “Sì”, norme esistenti ritenute inadeguate o ingiuste. In alternativa, votando “No” si sceglie di mantenere le leggi attuali. Le urne saranno aperte domenica 8 giugno dalle 7 alle 23 e lunedì 9 giugno dalle 7 alle 15. A ogni cittadino verranno consegnate cinque schede, una per ciascun quesito. È importante ricordare che il referendum sarà valido solo se andrà a votare almeno il 50% più uno degli aventi diritto. Anche l’astensione, quindi, può incidere sul risultato finale, impedendo l’abrogazione della norma. Ecco cosa prevedono i cinque quesiti, riportati nel testo integrale, e cosa cambierebbe se vincesse il “Sì”.
REINTEGRO IN CASO DI LICENZIAMENTO ILLEGITTIMO
Testo del quesito 1 (scheda verde chiaro): “Volete voi l’abrogazione del d.lgs. 4 marzo 2015, n. 23, recante “Disposizioni in materia di contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti, in attuazione della legge 10 dicembre 2014, n. 183” nella sua interezza?”
Cosa succede se vince il sì: Si cancellerebbe l’intero decreto legislativo che ha introdotto il contratto a tutele crescenti per i lavoratori assunti dopo il 7 marzo 2015 nelle aziende con più di 15 dipendenti. Attualmente, questi lavoratori, anche se licenziati ingiustamente, non hanno diritto al reintegro nel posto di lavoro, ma solo a un’indennità economica. Con il sì si tornerebbe all’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, come riformato nel 2012 dalla legge Fornero: sarebbe di nuovo possibile, per alcuni casi di licenziamento illegittimo, ottenere il reintegro, oltre a un risarcimento economico. La Corte Costituzionale e la Corte di Cassazione hanno più volte sollecitato un ritorno a un sistema più equo e bilanciato.
INDENNITA’ SENZA LIMITI PER LICENZIAMENTI NELLE PICCOLE IMPRESE
Testo del quesito 2 (scheda arancione): “Volete voi l’abrogazione dell’articolo 8 della legge 15 luglio 1966, n. 604, recante “Norme sui licenziamenti individuali”, come sostituito dall’art. 2, comma 3, della legge 11 maggio 1990, n. 108, limitatamente alle parole: “compreso tra un”, alle parole “ed un massimo di 6” e alle parole “La misura massima della predetta indennità può essere maggiorata fino a 10 mensilità per il prestatore di lavoro con anzianità superiore ai dieci anni e fino a 14 mensilità per il prestatore di lavoro con anzianità superiore ai venti anni, se dipendenti da datore di lavoro che occupa più di quindici prestatori di lavoro.”?”
Cosa succede se vince il sì: Oggi, un lavoratore licenziato senza giusta causa in una piccola azienda (meno di 16 dipendenti) può ottenere al massimo sei mensilità di risarcimento, anche se un giudice riconosce l’illegittimità del licenziamento. Il quesito mira ad abrogare il tetto massimo, lasciando al giudice la facoltà di stabilire l’indennizzo caso per caso. Non si prevede il reintegro, ma un maggiore margine di giustizia nelle decisioni sui risarcimenti. La misura interessa circa 3,7 milioni di lavoratori.
CAUSALI OBBLIGATORIE PER I CONTRATTI A TERMINE
Testo del quesito 3 (scheda grigia): “Volete voi l’abrogazione dell’articolo 19 del d.lgs. 15 giugno 2015, n. 81 recante “Disciplina organica dei contratti di lavoro e revisione della normativa in tema di mansioni, a norma dell’articolo 1, comma 7, della legge 10 dicembre 2014, n. 183”, comma 1, limitatamente alle parole “non superiore a dodici mesi. Il contratto può avere una durata superiore, ma comunque”, alle parole “in presenza di almeno una delle seguenti condizioni”, alle parole “in assenza delle previsioni di cui alla lettera a), nei contratti collettivi applicati in azienda, e comunque entro il 31 dicembre 2025, per esigenze di natura tecnica, organizzativa e produttiva individuate dalle parti;” e alle parole “b bis)”; comma 1 -bis , limitatamente alle parole “di durata superiore a dodici mesi” e alle parole “dalla data di superamento del termine di dodici mesi”; comma 4, limitatamente alle parole “, in caso di rinnovo,” e alle parole “solo quando il termine complessivo eccede i dodici mesi”; articolo 21, comma 01, limitatamente alle parole “liberamente nei primi dodici mesi e, successivamente,”?”
Cosa succede se vince il sì: Attualmente è possibile stipulare un contratto a termine fino a 12 mesi senza indicare alcuna motivazione. Solo dopo i 12 mesi scatta l’obbligo di una “causale”, cioè una giustificazione per il contratto a tempo determinato. Con la vittoria del sì, questo obbligo verrebbe esteso a tutti i contratti, sin dal primo giorno. In pratica, ogni contratto a termine dovrebbe essere giustificato da esigenze tecniche, organizzative o produttive, riducendo la possibilità di un uso indiscriminato di questa tipologia contrattuale.
RESPONSABILITA’ SOLIDALE NEGLI APPALTI PER GLI INFORTUNI SUL LAVORO
Testo del quesito 4 (scheda rosso rubino): “Volete voi l’abrogazione dell’art. 26, comma 4, del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, recante “Attuazione dell’articolo 1 della legge 3 agosto 2007, n. 123, in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro” come modificato dall’art. 16 del decreto legislativo 3 agosto 2009 n. 106, dall’art. 32 del decreto legge 21 giugno 2013, n. 69, convertito con modifiche dalla legge 9 agosto 2013, n. 98, nonché dall’art. 13 del decreto legge 21 ottobre 2021, n. 146, convertito con modifiche dalla legge 17 dicembre 2021, n. 215, limitatamente alle parole “Le disposizioni del presente comma non si applicano ai danni conseguenza dei rischi specifici propri dell’attività delle imprese appaltatrici o subappaltatrici.”?”
Cosa succede se vince il sì: Attualmente, in caso di infortuni, il committente non risponde dei danni se essi derivano da rischi specifici dell’attività dell’impresa appaltatrice o subappaltatrice. Se passasse il sì, questa eccezione verrebbe cancellata e la responsabilità diventerebbe solidale in ogni caso: sia chi affida i lavori sia chi li esegue potrebbe essere chiamato a rispondere per gli incidenti sul lavoro, rafforzando la tutela dei lavoratori negli appalti.
CITTADINANZA PIU’ ACCESSIBILE PER GLI STRANIERI
Testo del quesito 5 (scheda gialla): “Volete voi abrogare l’articolo 9, comma 1, lettera b), limitatamente alle parole “adottato da cittadino italiano” e “successivamente alla adozione”; nonché la lettera f), recante la seguente disposizione: “f) allo straniero che risiede legalmente da almeno dieci anni nel territorio della Repubblica.”, della legge 5 febbraio 1992, n. 91, recante nuove norme sulla cittadinanza”?”
Cosa succede se vince il sì: Si ridurrebbe da 10 a 5 anni il periodo di residenza legale ininterrotta richiesto agli stranieri extracomunitari maggiorenni per chiedere la cittadinanza italiana. Si tornerebbe così alla soglia prevista dalla legge del 1865, in vigore fino al 1992. La norma potrebbe interessare oltre 2,3 milioni di persone. Non cambierebbero invece gli altri requisiti: conoscenza della lingua italiana, reddito stabile, assenza di reati, e rispetto delle leggi fiscali. Inoltre, la cittadinanza una volta concessa verrebbe estesa ai figli minorenni.