Un ingegnoso e colossale sistema di frode e sfruttamento del lavoro, costruito su cooperative fittizie, fatture false e manodopera sottopagata, è stato smantellato dalla Guardia di Finanza di Bolzano dopo oltre due anni di indagini. L’operazione, condotta sotto la direzione della Procura della Repubblica del capoluogo altoatesino, ha portato all’arresto di tre persone – due imprenditori, uno altoatesino e uno campano, e un consulente fiscale della provincia di Napoli – e al sequestro di beni per oltre 14 milioni di euro. Secondo quanto ricostruito dagli investigatori del Nucleo di polizia economico-finanziaria, il trio avrebbe orchestrato un vasto sistema illecito di somministrazione irregolare di manodopera, operando a favore di grandi aziende della distribuzione e della lavorazione delle carni attive in Trentino-Alto Adige, Veneto e Lombardia. Il tutto a costi estremamente ridotti, resi possibili da un vorticoso giro di fatture false – per oltre 80 milioni di euro – e da un intricato sistema di società “a scatola cinese”.
Oltre 850 i lavoratori coinvolti, impiegati tramite cooperative di comodo che fungevano da serbatoio per la manodopera. Alla base della struttura c’erano decine di ditte individuali intestate a prestanome, spesso persone indigenti, usate per emettere fatture false. Queste venivano poi ricevute dalle cooperative, consentendo loro di annullare i costi di assunzione e offrire servizi a prezzi fuori mercato. Le aziende committenti, ben consapevoli della truffa, evitavano così ogni responsabilità contrattuale nei confronti dei lavoratori. Il trait d’union tra il sistema campano e le imprese del Nord era l’imprenditore altoatesino, che agiva da intermediario e procacciatore delle commesse. Tra le accuse mosse agli indagati principali figurano associazione per delinquere, frode fiscale, somministrazione illecita di manodopera, riciclaggio e autoriciclaggio. In totale sono 29 le persone indagate nell’ambito dell’inchiesta, che ha svelato un vero e proprio “castello” di società strumentali alla frode, articolate su più livelli. I profitti venivano poi riciclati all’estero, grazie all’uso di una “società fantasma” che serviva a far uscire i capitali illeciti dai confini nazionali.