ROMA (alads – amda) – L’accessibilità non è un privilegio, ma un diritto. Con la sentenza numero 26702/2025, la Corte di Cassazione segna una svolta storica nel diritto condominiale, affermando che installare un ascensore o una piattaforma per disabili è un diritto pienamente esigibile, anche senza il consenso dell’assemblea. Unico limite: la sicurezza e stabilità dell’edificio. La decisione, della Seconda Sezione Civile, riconosce che l’accessibilità costituisce una “qualitas essenziale dell’abitare”, cioè una componente intrinseca e irrinunciabile della vita domestica. In altre parole, la possibilità di muoversi e fruire liberamente della propria casa è un diritto fondamentale della persona, tutelato dalla Costituzione. Il caso trae origine dalla vicenda di un condomino che aveva deciso di installare, a proprie spese, un ascensore interno nella tromba delle scale. La Corte d’appello aveva annullato la delibera di approvazione, sostenendo che l’impianto compromettesse la fruibilità degli spazi comuni e violasse le misure minime del D.M. 236/1989. Ma la Cassazione ha ribaltato la prospettiva, osservando che il giudice avrebbe dovuto limitarsi a verificare due soli aspetti: se l’intervento riduceva il disagio di accesso e fruizione dell’abitazione e se pregiudicava la stabilità o la sicurezza del fabbricato. Il resto – motivazioni estetiche, riduzione di spazi comuni o opposizioni assembleari – non può bloccare l’opera. La Suprema Corte ha qualificato l’installazione dell’ascensore come “uso più intenso della cosa comune” (art. 1102 c.c.), non come innovazione soggetta al voto dell’assemblea (art. 1120 c.c.). Ciò significa che il condomino può procedere autonomamente, purché l’intervento sia conforme alle norme di sicurezza e non impedisca agli altri di usare gli spazi comuni. La Cassazione richiama inoltre la legge n. 120/2020, che ha modificato la storica legge n. 13/1989: se l’assemblea non delibera entro tre mesi sulla richiesta di eliminare barriere architettoniche, il condomino può intervenire a proprie spese, installando servoscala o strutture rimovibili. Un principio che, sottolineano i giudici, risponde a esigenze di ordine pubblico e tutela dei diritti fondamentali, in linea con la giurisprudenza costituzionale (sentenza n. 167/1999) che impone di rimuovere ogni ostacolo alla piena partecipazione delle persone con disabilità. “L’accessibilità – scrive la Corte – è una dimensione intrinseca dell’abitare, condizione per una fruizione autonoma e dignitosa della casa”. La decisione ridefinisce così i confini dell’autonomia condominiale: non è più ammesso che il consenso collettivo diventi un ostacolo all’inclusione. L’accessibilità entra a pieno titolo tra i valori costituzionali dell’abitare civile, insieme all’uguaglianza e alla solidarietà. Con la sentenza n. 26702/2025, la Cassazione trasforma un diritto teorico in un principio operativo: chi vuole abbattere una barriera architettonica nel proprio condominio, se rispetta sicurezza e stabilità, può farlo. Punto.





