giovedì, Dicembre 12, 2024
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Non solo Medea… quando anche i padri diventano assassini

di Mariarosaria Alfieri

criminologa, presidente associazione Criminalt

Come si fa ad uccidere un figlio, non ci possono essere attenuanti. Un genitore dovrebbe essere un porto sicuro dove il figlio può rifugiarsi,essere compreso e non il nemico che ti afferra disperatamente perchè non sopporta i tuoi pianti, i tuoi capricci e ti soffoca. O  ti insegue perchè non condivide le tue scelte e ti sgozza. Magari solo perchè ami un ragazzo diverso da te, dalla tua cultura e religione. Alcuni genitori arrivano a pensare che poichè ti hanno donato la vita possono anche togliertela? Quando una madre compie il gesto estremo di uccidere il proprio figlio, viene subito giudicata, condannata e sempre più spesso etichettata come malata mentale. Solitamente la madre viene valutata per quello che fa con il figlio, la figura del padre invece è molto più ampia. Il padre non è padre solo per quello che fa con il figlio, ma anche per quello che fa con la società. Il paradosso del padre è tanto personale, psicologico, indipendente dalle epoche, quanto pubblico e storico. Oggi però è anche vero che l’uomo sta vivendo una crisi di identità. In una società sempre più dominata dalle donne, l’uomo ha perso un po’ il suo ruolo di “pater familias”, e ha difficoltà a ricollocarsi. Tramontata l’epoca del cow-boy o del play-boy coi muscoli di carta pesta l’uomo di oggi cerca altre soluzioni, furioso per aver perso i suoi privilegi attacca la donna, anche con gesti estremi come l’aggressività e  la violenza sessuale, non per possederla, ma per dimostrarle chi è il più forte.  In realtà è  solo fragile, è debole, è incapace di accettare il rifiuto, vive una sorta di amore ossessivo. La crisi dell’uomo moderno è un fenomeno ormai evidente. Gli uomini in realtà sono spaventati e impreparati ai mutamenti, pertanto continuano a sognare una moglie “domestica” e un’amate geisha. Preferiscono donne bisognose di aiuto per poter continuare ad esercitare il potere, il controllo e la propria virilità, almeno su di loro. E all’indomani di una gravidanza tanto voluta anche dal marito e soprattutto all’indomani del parto e della nascita di un figlio ecco che il neo-papà, può cadere in depressione. Definita anche “sindrome del capofamiglia”, è una forma di depressione che si manifesta con comportamenti di insofferenza, desiderio di fuggire ogni volta che il bimbo non dorme, piange o ha bisogno di coccole e in generale con un senso di claustrofobia e angoscia. Con un calo di desiderio sessuale verso la partner e l’attaccamento ad un’altra donna a conferma della propria virilità. I motivi vanno cercati in una sorta d’inadeguatezza e scarsa preparazione alla nascita da parte dei papà colpiti da una forma di shock dovuta sia allo stress subito durante il periodo di gravidanza sia alla mancanza di tempo per affezionarsi al proprio bimbo. I motivi profondi però deriverebbero da un disturbo dell’affetto: il papà teme che il bambino possa incrinare il rapporto esclusivo instaurato con la propria compagna. Inoltre, a creare una situazione di forte disagio del neo padre, ci sono le preoccupazioni per i possibili problemi economici e la difficoltà a rinunciare a tutte le normali consuetudini che c’erano prima dell’arrivo del bambino. Secondo uno studio condotto dall’ AMI (Associazione Matrimonialisti Italiani) il 90 per cento dei padri assassini, uccidono i propri i figli in fase pre adolescenziale (dai 7 ai 12 anni). Muoiono soprattutto a causa di continue e gravi percosse. Se volessimo tracciare un profilo del padre assassino dovremmo dire che si tratta di un maschio caucasico tra i 30 e i 40 anni. Agisce per vendetta sulla moglie, per rivendicare un potere che non ha più, per affermare la propria virilità.  Per debolezza e incapacità relazionale. Gli infanticidi commessi da padri avvengono in larga misura nel nord Italia. Al Sud abbiamo ancora un retaggio culturale che crea una sorta di rete di protezione intorno alla donna, alla coppia. Non è da sottovalutare però la depressione post partum maschile. Nell´uomo la lettura del fenomeno dal punto di vista biologico è quella di una reazione all´attivarsi di situazioni di stress da parte di soggetti che in passato hanno già sofferto di episodi di ansia o che hanno una familiarità con il disturbo depressivo. Il disturbo si manifesta allora con perdita di interesse e di senso, incapacità di dare qualsiasi contributo, anche con sintomi somatici come stanchezza, mal di schiena e disturbi del sonno. Per anni è esistita una dimensione della famiglia allargata che gestiva la neomadre. Tutto il periodo neonatale era assorbito da una rete sociale che non  coinvolgeva, se non marginalmente, il padre. Ma le cose sono cambiate con l´odierna famiglia nucleare. Ora è il padre il primo supporto della neomamma. Alla ricerca, alle strutture di sostegno familiare  e agli esperti il compito di rilevare questi cambiamenti, accompagnandoli verso lo sviluppo di una genitorialità diversa, più autentica e priva di lati oscuri. La depressione maschile scatenata dall´arrivo di un figlio resta ancora un fenomeno poco comprensibile. Tutti si aspettano che una nascita sia per forza di cose un momento di gioia, ma non sempre è così. Nella società moderna il sesso forte diventa un remoto ricordo, e se le donne vivono grandi disagi, i maschi soffrono enormi debolezze. Molto probabilmente si tratta invece di una reazione allo stress, una difficoltà di adattamento associata a diversi fattori. Molti padri, per esempio, oggi sono assolutamente impreparati al progetto genitoriale, alla trasformazione della donna durante e dopo la gravidanza, alla fatica di ritrovare un equilibrio di coppia dopo la nascita di un bimbo e all´impossibilità materiale che tutto ritorni come prima.

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