sabato, Aprile 27, 2024
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Irpinia, l’allarme di Marfella: in aumento tumori infantili

Antonio Marfella (a sinistra) con Filomeno Caruso

MUGNANO DEL CARDINALE (​Bianca Bianco  Il Mattino) –  In Irpinia una elevata incidenza di tumori infantili. Nella drammatica mappa delle patologie oncologiche, l’ennesima bandierina rossa va messa anche sulla provincia di Avellino. I dati ufficiali sono tragicamente chiari: nell’Avellinese i tumori pediatrici hanno una alta incidenza, 169 casi per milione di abitanti nella fascia 0-14 anni nel 2012, un dato superiore a quello della provincia più simile, quella di Benevento, in cui se ne sono registrati 128. Un dato che va confrontato, soppesato e valutato con cautela, ma che deve essere il punto di partenza per una riflessione su inquinamento e malattie. Lo afferma Antonio Marfella, dirigente medico presso l’Istituto Pascale di Napoli, da dieci anni insieme ai Medici per l’Ambiente dell’associazione Isde in trincea quando si tratta di discutere di salute ed ambiente. La sua battaglia ieri ha fatto tappa a Mugnano del Cardinale dove, insieme al medico ambientalista Filomeno Caruso, alle associazioni “Ultimi” di don Aniello Manganiello e “Lotta per la vita”, ha spiegato da un’ottica diversa i dati emersi da tre anni di lavoro della Commissione Igiene e Sanità del Senato. Uno studio che ha certificato come, nella cosiddetta Terra dei fuochi, l’aumento della mortalità infantile è superiore rispetto a tutto il Mezzogiorno. “Non c’è da stare allegri- afferma Marfella-. De Luca esultò quando si disse che il dato sui tumori infantili era nella media italiana, ma i numeri vanno analizzati approfonditamente e per provincia”.

Su cosa si basa la vostra riflessione?

“Su un confronto tra i dati per province campane e quelli registrati in Europa e negli Stati Uniti. Per dare un’idea, il dato statunitense di 140 decessi per tumori infantili è nettamente inferiore al dato italiano di 175 decessi e a quello irpino di 169 casi. Ed abbiamo esteso il confronto anche al passato: in Campania nel 1993 i casi sono stati 108, oggi 164”.

Vi siete soffermati in particolare sul dato irpino.

“Quello di Avellino è pesante: 169 casi contro i 165 di Napoli, ma soprattutto contro i 128 di Benevento, città simile al capoluogo irpino. Un problema certamente limitato, ma che alla luce delle caratteristiche del territorio e della sua storia, è pesante”.

Quali potrebbero essere i motivi di tale incidenza?

“In questi territori si è dato uno sviluppo legato all’industria, vedi Isochimica o le concerie di Solofra, nonostante queste zone non siano vocate alle grandi imprese pesanti ma alle piccole agroalimentari. C’è stato un errore storico che ha inciso sull’ambiente e di conseguenza sulla salute dei cittadini”.

I principali colpevoli di questa situazione sono le imprese?

“Lo sviluppo industriale c’è e non può essere fermato, ma va controllato e deve provocare un danno ambientale e alla salute accettabile. Le industrie non possono essere fuori controllo, e casi come Isochimica ad Avellino o Ilva a Taranto sono la dimostrazione che quando si piega la realtà di un territorio allo sviluppo industriale e non si effettuano controlli, gli effetti sui cittadini e sulla natura sono drammatici”.

Il vostro raffronto non è solo geografico, ma si estende alla qualità della vita.

“Abbiamo fatto un semplice raffronto tra questi numeri e la classifica sulla qualità della vita pubblicata in questi giorni su tutti i giornali. I dati sono collegati: chi è in basso nella seconda classifica, è in alto nella prima. Avellino è al 102esimo posto su 110 Comuni”.

Come si può intervenire oggi?

“Intervenendo con regole stringenti sulla produzione industriale, fare prevenzione primaria che limita l’insorgere delle malattie. Ma soprattutto applicare le leggi: l’Italia è la nazione con le norme migliori in tema di ambiente, ma che nessuno applica o fa applicare”.

Un esempio?

“Nel 1970 decisi di diventare medico ascoltando il professor Giordano che già allora parlava dei danni provocati dall’inquinamento del Sarno causato dalle concerie di Solofra. Dopo 47 anni, il problema è ancora lì”.

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